Cenni storici sulla viticoltura pisana

Le origini della viticoltura pisana affondano le loro radici nella civiltà etrusca: i reperti archeologici della zona di Montescudaio, Volterra e Terricciola suggeriscono l’importanza del vino nella cultura del territorio. La posizione strategica della città di Pisa e la presenza del porto favoriscono ben presto lo sviluppo delle attività produttive, rendendo il territorio un importante snodo commerciale in epoca romana: il vino di Terricciola, racconta Plinio il Vecchio, è offerto a Publio Cornelio Scipione come augurio prima della partenza per la vittoriosa campagna d’Africa.

Dal Medioevo al Settecento è possibile ricostruire la storia del vino grazie alle centocinquantamila lettere commerciali conservate nell’Archivio Datini a Prato, nell’Archivio Statale a Firenze e nell’Archivio Salviati a Pisa, oltre agli archivi catastali, che documentano il crescente sviluppo della viticoltura nel pisano in termini di produzioni, redditività e scambi commerciali. Dai catasti si apprende, inoltre, che a Montopoli si producevano ottimi trebbiani, meno costosi di quelli del Valdarno; i vini di maggior pregio provenivano dalle zone che oggi ricadono nella DOCG Chianti Colline Pisane e DOC San Torpé, vino storico della Provincia di Pisa, venduto sul mercato a Firenze già dal 1400.

Il celebre studioso Giovanni Targioni Tozzetti identifica la zona di Terricciola come areale vocato ad abbondanti produzioni di vino. Nasce una prima catalogazione delle uve dell’areale pisano, raccolta in Odeporico o sia Itinerario per le colline pisane (Giovacchino Pagani, 1797):

I nomi poi delle Uve più care a quei contadini per fare il buon Vino sono il Giacomino, la Volpola, il Trebbiano, l’Aleatico; annoverandosi poi sopra le altre la Barbarossa, la Canajola, la Mammola, la Dolcipoppola, la Navarrina, il Grechetto, il Rasporosso, lo Strozzaprete, il Biancone e la Verdea.

Nello stesso periodo nella zona di San Miniato si diffonde un vitigno autoctono spagnolo, il Tempranillo, arrivato dalla Rioja lungo il cammino di Santiago de Compostela e portato in Toscana probabilmente grazie ai pellegrini che percorrevano la Via Francigena, come prezioso dono in cambio di ospitalità nel tragitto verso Roma.

Nel 1840 il Granduca Leopoldo II di Lorena istituisce la cattedra di Agricoltura e pastorizia nella Facoltà di Scienze dell’Università di Pisa, fortemente voluta dal Marchese Cosimo Ridolfi, e nel 1843 nasce con l’Istituto Agrario Pisano il primo corso di studi universitari agrari al mondo. Le produzioni vitivinicole vivono una fase di rinnovamento e valorizzazione, grazie all’impulso di illuminati docenti di Agronomia, come Girolamo Caruso, che per la prima volta nella storia rende l’agricoltura una scienza e conduce importanti sperimentazioni sui metodi di lotta contro i patogeni della vite: l’oidio, comparso nel 1851, la fillossera nel 1878 e nel 1879 la peronospora.

Una vivace corrispondenza epistolare su vitigni, uvaggi, tecniche di vinificazione e invecchiamento lega in quegli anni il medico e politico Cesare Studiati al Marchese Bettino Ricasoli: in una celebre lettera, Ricasoli fissa la formula di un vino, con un rigoroso disciplinare, che, salvo poche variazioni, è ancora quello che oggi definisce il Chianti:

[…] il vino prende dal Sanzioveto la dose principale del suo profumo (a cui miro molto) di sensazione: dal Canajuolo l'amabilità che tempera la senza toglierli nulla del suo profumo per esserne pur esso della quale si potrebbe fare a meno nei vini destinati tende a diluire il prodotto delle prime uve, ne accresce il più leggero e più prontamente adoperabile all'uso della tavola.

Nell’Ottocento la Toscana diventa la regione italiana con il maggior numero di vitigni internazionali, importati in via sperimentale (da I vitigni stranieri da vino, Salvatore Mondini, 1903) grazie soprattutto al Barone Ricasoli. I viticoltori pisani inseriscono nelle loro terre numerose piccole coltivazioni di Aramon, Cabernet, Grenache, Malbec, Merlot, Pinot, Portugieser, Riesling, Syrah e soprattutto Gamay, a causa della sua precocità e produttività, che permetteva l’immissione di rilevanti quantità di vino almeno un mese prima rispetto ai vitigni autoctoni. Nell’azienda del Duca Salviati a Migliarino, si coltivavano i due Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon, importati nel 1873 dai vigneti del Conte di Sambuy di Valmagra. Un secolo dopo alcune barbatelle di questi vitigni sono inviate a Bolgheri e impiantate in un podere del Marchese Incisa della Rocchetta, dando inizio all'era dei grandi vini italiani da vitigni stranieri.